Ristorazione: quale futuro?

Quale sarà il corso della ristorazione nel prossimo futuro? Quali le sfide da affrontare? Cosa resterà di questo periodo di grande confusione?
Ce lo chiediamo da quando è iniziata la maledetta fase pandemica che ha obbligato ristoranti e ristoratori a orari forzati e chiusure intervallate che hanno svilito e sfinito la categoria portandola ai margini del consumo.
Possiamo asserire con certezza che la parola d’ordine per il futuro sarà RESILIENZA, ossia la capacità di adattamento alle nuove regole e ai nuovi ritmi.
Divideremo la nostra analisi in tre punti: SICUREZZA, SOSTENIBILITÀ, ASPORTO/DELIVERY.

 

SICUREZZA:
Scordiamoci di pensare alla mascherina come ad un oggetto estraneo da eliminare dopo il vaccino. La mascherina, per quanto sgradevole e sgradita, rimarrà con noi ancora per tantissimo tempo e con lei le norme igieniche alle quali siamo stati catechizzati in questo anno e, alle quali, sinceramente, non ci va di rinunciare.

La frase “in totale sicurezza” ripetuta a pappagallo non serve a nulla. Premiati quindi i ristoratori che hanno saputo adeguarsi nella forma e nella sostanza.
Non solo mascherine obbligatorie in sala e in cucina (magari anche durante le preparazioni quando non vi guarda nessuno, ndr.), ma anche dispenser igienici, tovagliette monouso, sanificazione periodica degli ambienti e degli impianti di condizionamento e areazione, sterilizzazione degli utensili di cucina e della pavimentazione.

Inoltre distanze vere tra tavoli e commensali e un sistema di prenotazione che, in caso di contagio, riesca a far risalire velocemente all’anagrafica dei clienti.
Sì è persa un po’ di magia dite? Pazienza. Saranno ancora i piatti a farci sognare oltre ogni ragionevole dubbio.
Il pressapochismo e l’ignoranza, invece, non hanno mai fatto sognare nessuno.
Peccato per chi vede in tutto questo, una misura esclusivamente transitoria. Sta commettendo un grossolano errore di valutazione, contrariamente ai professionisti che hanno investito e scommesso sulla sicurezza, parametro che è già diventato uno dei criteri di selezione del ristorante al pari di cucina, accoglienza, servizio e cantina.

 

SOSTENIBILITÀ:
Qui si tocca un tasto potenzialmente dolente per parecchi ristoranti di fascia alta, i cosiddetti “stellati”, anche se il termine ci fa rabbrividire; concedeteci l’orrore della sintesi giornalistica.
Spesso il food cost è determinato dall’utilizzo di materie prime eccessivamente costose, da semilavorati già porzionati che evitano lunghe preparazioni o dalle preparazioni stesse che scarnificano il prodotto per arrivare al suo centro o alla forma desiderata, producendo uno cospicuo scarto che finisce nell’umido. Si fa presto a dire: “Da noi, non si butta nulla”.
Ad inizio 2016 la FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) denunciava dati allarmanti circa gli sprechi, con 1/3 degli alimenti nei pubblici esercizi buttati via, e spingeva per una corretta legislazione al riguardo. I risultati non si facevano attendere, visto che a settembre dello stesso anno entrava in vigore la legge 166 “Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi.” Cosa si è fatto in questi quattro anni? Niente o poco più di qualche operazione copertina.
Ad oggi sono 185.000 le tonnellate di cibo cestinato ogni anno nei ristoranti dello stivale che, come appare evidente, devono essere drasticamente diminuite.
Il Covid ha avuto il grande pregio di scompaginare le carte e di sbatterci in faccia questa situazione, dando il via al nuovo corso della ristorazione, fatta di meno fumo e più concretezze.
Basta quindi a menù incomprensibili con ingredienti futuristici e preparazioni arzigogolanti. Semplicità, stagionalità, ma anche dialogo con la campagna. Se a settembre il contadino ha ancora gli asparagi, perché le stagioni sono cambiate, compriamoli e mettiamoli in carta.
Riscoperta delle tavole regionali e dei sapori domestici dimenticati. Piatti che parlano al cuore, con pochi ingredienti e una grande tecnica a servizio della materia prima, meglio se “povera” e contadina. Chi sa stupire così, ha già vinto una piccola battaglia: quella della sostenibilità.
I divismi saranno sempre meno tollerati.

 

ASPORTO/DELIVERY:
Su questo punto il discorso è rotondo, lapalissiano, evidentissimo.
Asporto e Delivery resteranno per sempre, fatevene una ragione.
A prescindere se questo o quell’altro ristorante decideranno di adottare o meno queste modalità di servizio, le stesse resteranno opzioni gradite ai clienti.
Le previsioni di crescita del comparto sono sempre più elevate. Nel 2019 il valore del mercato del food delivery è stato di 560 milioni di euro. Al ritmo di crescita attuale, nel 2020 il valore sarà intorno ai 900 milioni e nel 2021 di 1,45 miliardi di euro.
Anche in questo caso, chi pensa all’asporto e al delivery come parentesi pandemiche, non ha ben capito come si sta evolvendo la ristorazione.
La casa sarà sempre più multitask grazie allo smartworking che avanza. Le abitazioni diventeranno anche ufficio, adeguandosi negli arredamenti e nelle architetture. Va da se che la cena in casa diventerà un’esigenza, ma anche un piccolo vezzo da concedersi.
La ristorazione del futuro vedrà un’importante incremento del comparto domestico.

Molti chef diranno che la loro tipologia di ristorazione è incompatibile con il delivery. Un vecchio adagio recitava, “la competizione stuzzica il talento” e ad oggi sono tanti i ristoratori, anche stellati, che si sono ingegnati nella produzione di piatti per l’asporto con tanto di manuale d’istruzione per il montaggio domestico.
Siamo chiari però: niente toglierà mai la suggestione del ristorante, che sarà sempre preferibile, ma se una sera si vuole restare in casa ed avere una suggestione vicina a quella del nostro ristorante stellato preferito, bisogna poterlo fare.
Gli chef dovrebbero aumentare (o introdurre) la loro proposta di delivery con dei menù creati ad hoc, non la classica pasta “presa e buttata” nella vaschetta d’alluminio. Sarebbe utile attrezzarsi anche per un home cooking di grande livello: un cuoco che dal ristorante arriva direttamente a casa e monta i piatti della carta esattamente per come comanda lo chef in brigata. Un’evoluzione del già conosciuto personal chef, ma gestito direttamente dal ristorante.
Non ci stupiremmo se da qui a breve nascessero delle attività imprenditoriali esclusivamente dedicate all’asporto e al delivery domestico, un crossing fra catering e ristorante.

Se è vero, quindi, che il vaccino porterà i benefici sperati nell’arco di quest’anno è altrettanto vero che la lungimiranza produrrà effetti per i prossimi vent’anni.

 

 

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Francesco Seminara
francesco.seminara@gmail.com